L’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha presieduto questa mattina alle ore 8 la Messa del Miracolo nel Santuario di Treviglio. La celebrazione ricorda il pianto miracoloso dell’affresco della Madonna delle lacrime che convinse il generale francese Lautrec a non distruggere la città di Treviglio il 28 febbraio del 1522. Da quel giorno, esattamente 500 anni fa, l’ultimo giorno di febbraio è festa grande a Treviglio.
L’OMELIA DELL’ARCIVESCOVO MARIO DELPINI
Delpini ha anche celebrato, per tutti i giorni della Novena, la Messa delle ore 6 e la Compieta delle 20.30 in santuario, potendo così vedere la grande partecipazione dei trevigliesi alle funzioni legate alla Madonna delle lacrime. E proprio da questa esperienza ha preso le mosse la sua omelia: «Nel momento del pericolo estremo, – ha detto l’Arcivescovo di Milano immaginando la città del 1522 – la città intera, dal trevigliese più piccolo al più grande, è segnata dall’angoscia. E nel momento della liberazione, della miracolosa salvezza, tutti gli abitanti di Treviglio condividono il sollievo, la gioia, la festa». Nel racconto dei giorni del Miracolo, ha aggiunto, «c’è un’immagine di compattezza e unanimità sorprendentemente inconsueta ai nostri sentimenti. Nella città moderna, infatti, sembra impossibile che tutti condividano gli stessi sentimenti. Siamo abituati a riconoscere la complessità della città, la pluralità delle presenze e, in un certo senso, siamo rassegnati a dare per scontato che alla festa alcuni partecipino e altri siano assenti. Anche l’esperienza straordinaria e vivificante della Novena che abbiamo celebrato con una partecipazione così costante e così numerosa, considera tuttavia piuttosto naturale che molti siano assenti: trevigliesi di antica data e trevigliesi che di recente si sono stabiliti in città, o alcune fasce d’età, o gente che proviene da altri Paesi e che si è stabilita qui per lavorare o per condizioni di vita promettenti. Sono assenti. Dunque, noi siamo tanti, ma non siamo tutti».
Possiamo allora immaginare, ha detto Delpini, «che Maria insieme alla gioia oggi provi anche un po’ di tristezza, perché siamo tanti, ma non tutti. E quanti mancano». Ma la comunità cristiana «esiste per tutti, la missione è destinata a tutti». Dunque, «noi non siamo tutti, ma siamo per tutti. Chiediamo la grazia di non venire meno alla nostra missione che non è conquistare la Terra, ma essere un segno, un messaggio per tutti».
La missione, ha poi sintetizzato, si può esprimere in tre atteggiamenti. «In primo luogo, con l’attrattiva della gioia, il segno più necessario per questo tempo tribolato e perplesso. Gioia che nasce dalla presenza nella nostra comunità del Signore risorto e del suo Spirito. Ciascun cristiano riceve il saluto dell’angelo: “Kaire: rallegrati!”. I cristiani possono svolgere la loro missione perché stupiscono la città con la loro gioia». «Non siamo autorizzati ad essere cristiani tristi».
Il secondo gesto della missione è «lo strazio dell’impotenza. Di fronte all’impotenza della città» nel 1522, «Maria ha pianto. Non ci sono state manifestazioni clamorose o azioni militari o armi potenti. Il popolo ha pregato, Maria ha pianto. La preghiera, come il pianto, sono un modo per esprimere la consapevolezza dell’impotenza». Non si può «essere indifferenti né rassegnati. Davanti alle sfide di oggi, davanti al divampare di un nuovo conflitto sulle terre d’Europa, tra popoli che provengono da tradizioni cristiane, noi proviamo lo strazio dell’impotenza. E di fronte alle sfide di questo tempo, la fragilità educativa, la fragilità delle famiglie, la poca fede del popolo cristiano, siamo presi da un senso di impotenza: cosa possiamo fare?». «Possiamo pregare e piangere: noi non ci rassegniamo mai». Da cristiani, ha aggiunto, «non crediamo di avere ricette risolutive per i problemi di questo tempo, ma non rinunciamo a pregare, mai. Non rinunciamo a cercare strade da percorrere, mai. Non rinunciamo mai a immaginare soluzioni da proporre, mai».
Un terzo tratto della missione per tutti è «l’accompagnamento personale». Ci rivolgiamo «ai fratelli e alle sorelle uno per uno. Non siamo amici delle troppe statistiche. Siamo amici dei nomi, dei volti, ci rivolgiamo alle persone una per una. Gesù non ama i popoli e le categorie, piuttosto ama tutti, uno per uno».
L’INTERVENTO DEL PREVOSTO MONS. NORBERTO DONGHI
A conclusione della celebrazione ha rivolto il proprio saluto a Delpini e ai trevigliesi anche il parroco di Treviglio, mons. Norberto Donghi: «Siamo la generazione – ha detto – che ha potuto celebrare il cinquecentesimo anniversario del Miracolo. La generazione che ha avuto la responsabilità di celebrarlo come meritava, e speriamo di esserne stati in grado. L’emozione di questo momento è stata preparata dalla nostra Novena, un’occasione di grazia che si ripete ogni anno. Quest’anno, però, anch’essa speciale. Nei suoi contenuti, dalle nostre defigurazioni alla trasfigurazione che Dio predispone e desidera per ciascuno di noi. Nelle presenze, anzitutto quella del nostro Arcivescovo, al quale abbiamo chiesto un grosso sacrificio, che con la sua parola e con il suo modo di pregare e celebrare ci ha testimoniato la profondità e la solidità della sua fede. Grazie, eccellenza. E anche la presenza di altri vescovi lombardi: alcuni di loro sono oggi qui presenti. Vorrei tutti ringraziarli di cuore. Il loro esserci, oggi particolarmente, ci fa cogliere la bellezza della Chiesa, la sua varietà, la sua unità. Un vero e proprio cenacolo dove gli apostoli sono radunati con Maria, in preghiera. E poi il nostro popolo, tutto il nostro popolo. La Novena mette in mostra ogni anno la sua costanza, il valore delle sue tradizioni, la robustezza della sua fede. Grazie cari figli, cari fratelli. Vorrei dire un grazie sincero anche alle tante autorità oggi presenti. E rivolgere un saluto anche a coloro i quali attraverso la televisione o i media hanno pregato insieme con noi oggi e durante tutta la Novena, soprattutto i tanti malati e anziani. Tutti, Maria, ricorriamo a Voi, le Vostre lacrime ci siano sempre di presidio tra i pericoli della vita e nelle angustie di morte, affinché un giorno, restituendoci al Vostro Gesù, possiate dirgli di tutti noi: “Ecco i miei figli, ecco i frutti delle mie lacrime”. Buona festa, e sia festa e pace per tutti».
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